(Teatro Argot – Roma, 25-27 Ottobre 2016)
L’iniziazione di una drag queen attraverso un percorso catartico comune, in cui si scopre tutta l’umanità nascosta dietro una maschera apparente.
Cosa si prova ad esser una drag queen? Cosa si cela dietro il massiccio trucco e i luccicanti vestiti? Da persona romita, Matteo si trasformerà nell’energica regina “Alice”, nel meraviglioso universo delle drag queen. Ma non senza prima aver vinto la resistenza delle altre artiste, che accettano solo persone convinte, perché: per esser drag, bisogna sentirsi divine.
Massimiliano Burini porta in scena uno spettacolo che fa riflettere, pregno di influenze pirandelliane e che pone diversi interrogativi. Per farlo sceglie attori (Matteo Svolacchia, Daniele Aureli, Amedeo Carlo Capitanelli, Stefano Cristofani e Riccardo Toccacielo) che riescono a interpretare efficacemente il loro ruolo e a trasmettere le sensazioni di disagio, prima, e di euforia, poi, vissute dai loro personaggi. Tra loro spicca Riccardo Toccacielo, che grazie al suo volto particolarmente espressivo – come se avesse cucita sul volto la maschera che raffigura – riesce a trasfondere nel pubblico lo stato d’animo del suo personaggio.
Un copione scritto a quattro mani – insieme a Daniele Aureli (che recita la parte di Bunny bell) –, frutto di un lavoro certosino in cui il drammaturgo della compagnia “Occhisulmondo” ha raccolto, attraverso numerose interviste, le esperienze delle drag queen che ha avuto modo di conoscere, per fornire allo spettatore uno spaccato sul loro mondo stravagante. Se nel celebre musical Priscilla (vincitrice di un Oscar e del premio del pubblico a Cannes) l’attenzione si focalizzava sullo spettacolo luminescente e colorato messo in scena dalle drag, qui il regista perugino si concentra sulla persona dietro la maschera. La storia si svolge interamente dietro le quinte del palco dove si esibiranno le drag e la scenografia risulta sufficientemente curata – ancorché può risultare di non immediata comprensione per il pubblico di trovarsi dietro allo specchio del loro camerino. Anche i tempi scenici sono scanditi correttamente e la narrazione scorre senza intoppi (la scena finale, tuttavia, può apparire una superfetazione).
Un testo che può risultare scomodo per gli argomenti che affronta e l’Argot si dimostra, ancora una volta, un teatro cui piacciono le sfide e luogo adatto per questo genere di rappresentazioni; dà inoltre modo al pubblico, con interessanti dibattiti, di approfondire i temi toccati dagli spettacoli ospitati.
È uno spettacolo che trascina il pubblico nella realtà – spesso oscura – delle drag queen; al contrario dei loro spettacoli, in cui si viene trascinati su un pianeta fantastico e luminescente, attraverso una coreografia sfavillante, un’euforia crescente e un’ironia pungente. Il modo in cui si divertono mentre recitano, in cui si liberano dai pregiudizi e dalle preoccupazioni mentre danzano, suscita invidia per la loro sicurezza e determinazione. E allora viene da chiedersi: perché non provare a indossare, almeno per una volta (come usano gli inglesi), i panni di una donna? Cosa costa provare? D’altronde, ci si potrebbe anche divertire!
data di pubblicazione:28/10/2016
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