Tutto è composto sostanzialmente d’acqua: noi siamo acqua, le pietre sono acqua, le stelle sono acqua. E poiché l’acqua ha una memoria propria, cioè ha insita in sé la capacità di mantenere nel tempo il ricordo delle cose e delle circostanze con le quali nei secoli è venuta a contatto, se mai arriverà il giorno in cui riusciremo a decifrare tale fenomeno, allora potremo leggere come in un libro tutta la storia dell’umanità e dell’universo intero.
Patricio Guzmàn è un regista, sceneggiatore, attore, scrittore e fotografo cileno già molto conosciuto a livello internazionale per aver raccontato, nei suoi innumerevoli documentari, la storia del suo paese, con le sue lotte e rivolte, arrivando ai fatti riguardanti le tristi vicende politiche che hanno attraversato il Cile e di cui lui stesso ne rimase vittima ai tempi della dittatura di Pinochet.
La memoria dell’acqua, Orso d’argento alla Berlinale 2015 per la miglior sceneggiatura, non è un documentario che ci parla solo dell’acqua e della sua innegabile memoria, ma è anche un punto di avvio che Guzmàn sceglie per narrare ancora una volta la storia del suo paese martoriato, nel corso dei secoli, da eccidi di massa, partendo da quelli che hanno portato alla quasi radicale estinzione delle prime popolazioni aborigene che abitavano le regioni della Patagonia da millenni.
Attraverso la testimonianza dei pochissimi sopravvissuti al massacro perpetuato dai primi coloni europei, veniamo pertanto a conoscenza della vita primordiale di questi antichissimi popoli che vivevano sostanzialmente da nomadi spostandosi su rudimentali canoe lungo le frastagliatissime coste cilene, un enorme arcipelago che emerge dalle immense acque dell’oceano Pacifico. Da questi racconti il regista passa lentamente a frammenti di storia più recenti, quando migliaia di uomini e donne vennero trucidati solo perché ritenuti oppositori al regime di Pinochet: molte furono le vittime che furono fatte sparire gettando, i loro corpi torturati, direttamente nell’oceano, legati a porzioni di binari della ferrovia affinché essi venissero definitivamente inghiottiti dall’acqua, facendone disperdere le tracce, i così detti desaparecidos.
La fotografia di Guzmàn, assieme ad una voce fuori campo, ci narrano la vera storia del Cile in un modo diretto ed essenziale, senza falsa retorica, coinvolgendoci emotivamente in un vissuto forse a noi lontano ma che in qualche modo ci riguarda in quanto uomini.
Ecco quindi che questo documentario, come già abbiamo avuto modo di riscontrare in Fuocoammare di Rosi, diventa un documento prezioso, una testimonianza di qualcosa di accaduto che ci induce a riflettere su atrocità fine a se stesse, una sorta di atroce capriccio del potere di pochi a danno di molti, un segreto che l’acqua stessa ha mantenuto e che ora ci rivela restituendocene la memoria perché siamo tutti ruscelli di una stessa acqua.
data di pubblicazione:08/05/2016
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Noi siamo come l’acqua che corre, sempre uguale, ma sempre diversa…
Favolosa recensione! Un film che andrò a vedere con tutta probabilità!
L’acqua se potesse parlare racconterebbe di tutto e di più ma non lo può fare. Tante volte il silenzio aiuta a capire ma quando lo si vede agitare e mosso allora è come se ci raccontasse quello che è accaduto. Nel caso della memoria dell’acqua ci lascia e ci lancia come un appello quello di non dimenticare mai coloro che vengono inghiottiti dal mare per far tacere tutto….ma si sa che non verrà mai taciuto nulla dal mare.