66. INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE BERLIN – NONA GIORNATA

(Berlino, 11/21 febbraio 2016)

Segnalato dalla popolare rivista americana di cinema Variety, tra i registi europei degni di maggiore attenzione, Tomasz Wasilewski ha aperto la nona giornata della Berlinale con il suo United States of Love. In una Polonia alla ricerca di una nuova identità politica, all’interno di un contesto europeo ancora in assestamento dopo la recente caduta del muro, quattro donne (Agata, Iza, Renata, Marzena) ognuna con un proprio diverso vissuto, sono alla ricerca del loro equilibrio sentimentale. Il film è una riflessione sulla condizione della donna che, seppur emancipata socialmente, stenta ancora a trovare una propria autonomia affettiva dall’uomo e trovare quello che di più la appaga, lontano da sterili conformismi. Buona la fotografia con colori sempre tenui quasi a voler farsi timidamente spazio nel grigiore totale che domina l’intera scena ed i personaggi stessi, a loro volta spenti per assenza totale di speranza o quanto meno di una qualche minima illusione. Di diversa natura il film francese Saint Amour dei due registi Benoît Delépine e Gustave Kervern al loro settimo film insieme e già presenti alla Berlinale nel 2010 con il film Mammuth. Jean (Gérard Depardieu) e suo figlio Bruno (Benoît Poelvoorde) stanno partecipando a Parigi ad una famosa fiera zootecnica in cui sono fieri di presentare il loro toro Nabucodonosor, in concorso per un premio. In effetti Bruno preferirebbe abbandonare la fattoria del padre e dedicarsi di più al vino, di cui è grande estimatore e soprattutto bevitore. Jean, pur di accontentare il figlio, lo asseconderà in un tour enologico attraverso la Francia insieme a Mike (Vincent Lacoste), che con il suo taxi li accompagnerà in una serie di avventure, anche a sfondo sessuale, nelle quali rimarranno coinvolti insieme. Tipica commedia francese, di cui abbiamo avuto già esempi in questo Festival, dove la bravura degli attori protagonisti ha regalato alla platea quasi due ore di puro divertimento, risollevandola un po’ dalle atmosfere della precedente pellicola. A Dragon Arrives! dell’iraniano Mani Haghighi è l’ultimo tra quelli in Concorso; il regista, in un intervista all’interno del film stesso, ci spiega i motivi che lo hanno indotto a scrivere questa storia che narra di fatti realmente accaduti, a partire da una inchiesta iniziata il 23 gennaio del 1965, il giorno dopo l’uccisione davanti al Parlamento iraniano del Primo Ministro. I fatti si svolgono principalmente in Qeshm, un’isola sperduta nel Golfo Persico, e precisamente in un vecchio cimitero abbandonato, dove forze soprannaturali causano terribili terremoti ogni qualvolta viene seppellito un defunto. Il soggetto, tra l’assurdo ed il grottesco, tiene lo spettatore con il fiato sospeso, meritando la giusta attenzione tra le pellicole che in questi giorni sono state presentate e che pone il regista al livello di altri famosi filmmaker iraniani, sulle tracce già segnate dal grande Abbas Kiarostami.

data di pubblicazione:20/02/2016








1 commento

  1. Dalle premesse sembra proprio che ci siano in visione ottimi film. Di alcuni ho visto il trailer, spero al più presto di andare a vederli. Mi incuriosiscono United States of Love e Saint Amour.

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