The Price of Salt è il secondo romanzo di Patricia Highsmith che dopo il fortunato esordio con Strangers on a Train, adattato da Hitchcock (successivamente Delitto per delitto), non trovò un editore a causa della storia omosessuale che vi si narrava. Fu pubblicato con uno pseudonimo ed ebbe un grande successo; eppure fu rieditato solo negli anni 80 con il nome della sua autrice e con il titolo con cui oggi lo porta sugli schermi Todd Haynes, Carol, presentato a Cannes 2015 dove Rooney Mara ha vinto il premio come miglior attrice.
Haynes, che più volte nel suo cinema ha reinventato il genere del melò in chiave moderna, anche in questo caso trascina emotivamente fin da subito lo spettatore in una appassionata storia d’amore ammorbidita dal velluto, dai colori tabacco, dalle risposte appena accennate e spesso dai silenzi, in un esercizio magistrale di equilibri tra la forza tellurica della passione al suo manifestarsi e l’impreparazione, la reticenza, di chi la sente e non può o non riesce ad abbandonarcisi. Haynes ha dichiarato che ciò che lo aveva colpito della Highsmith era l’essere riuscita a stabilire “un’analogia tra la patologia della mente criminale che racconta nel resto della sua opera, e la patologia della mente amorosa, imponendo la stessa visione ansiogena a entrambi gli stati.”
New York, 1952, a pochi giorni dal Natale Carol, una meravigliosa Cate Blanchett, si aggira nel reparto giocattoli di un grande magazzino sotto gli occhi rapiti e incuriositi della commessa Therese Belivet (Rooney Mara). I guanti lasciati sul bancone dalla elegantissima signora, proprio come in un romanzo cavalleresco, saranno il mezzo attraverso il quale le due donne si rivedranno. Therese è molto più giovane dell’altra che dal suo matrimonio con Harge ha avuto, cinque anni prima, una bambina amatissima. Carol vive in una villa fuori città, una prigione dorata dove è obbligata a rispettare le convenzioni di un mondo alto borghese per poter stare accanto a sua figlia. Ma il matrimonio è alla fine, provato da una precedente unione di Carol con Abby e dall’incomprensione del marito che come i genitori, pensa di poter “riparare” i desideri omosessuali della moglie con la psicoterapia e ricondurla alla ragione. Therese è innamorata dell’obbiettivo della macchina fotografica con la quale scopre il mondo, e respinge timidamente il suo fidanzato che vuole sposarla, perché nel fondo sente di non potergli corrispondere. Non ha ancora i mezzi, a parte l’obbiettivo, per conoscere se stessa, ma non esita a seguire Carol.
La loro storia d’amore, raccontata in lungo flashback, racchiude il percorso di trasformazione che le due donne compiono nel loro viaggio verso Ovest. La timida Therese tra le braccia di Carol scopre se stessa e la sua determinazione, e al ritorno non sarà più una commessa ma una fotografa del “Times”. Carol proverà ancora, negando se stessa, a essere una moglie irreprensibile per poter restare accanto a sua figlia; ma l’amore per Therese la cambia per sempre, spingendola a rinunciare perfino alla custodia della piccola pur di vivere con lei.
Un film che racconta passioni forti, ma Haynes ha scelto la strada della sottrazione, seppur attraverso una raffinatissima eleganza, evidente sia negli ambienti che nei costumi, smorzandola, filtrandola, in modo da spingere lo spettatore a sentire l’urgenza di cambiare le cose, a forzare quella quiete che le case e i panni ripropongono. Un film girato a basso budget e che invece mantiene l’eleganza vellutata del genere cinematografico che reinventa, quello della bellezza melò di Douglas Sirk de La magnifica ossessione, o della perfezione registica di Howard Hawks de Il grande sonno, tanto da rendere Carol un’emanazione luminosa di Lauren Bacall. La pelle diafana sotto la quale vibra il desiderio per Therese, quella stessa raffinata eleganza che muta impercettibilmente a seconda di dov’è e di chi la guarda. Se sono gli occhi di Therese o il suo obbiettivo si rivela anche fragile, fragilità che invece socialmente si trasforma in sicurezza, e la Blanchett passa da uno stato all’altro con la morbidezza e la naturalezza della grande attrice. Corrono verso l’Ovest, ma sanno che la loro vera battaglia andrà condotta in città. È in quel teatro del mondo che devono trovare la loro dimensione sociale, quella del lavoro, quindi politica sembra dire Haynes, per poter essere se stesse e vivere il loro amore. Gli uomini di questa storia sembrano non avere alcun mezzo per comprendere cosa accade alle donne in generale e alle loro in particolare. Sono increduli e si affidano al controllo, alle minacce, e perdono, annunciando l’inizio di una rivoluzione sociale che cambierà per sempre i rapporti tra i sessi. Mentre Therese cerca dentro di sé una risposta alla richiesta amorosa di Carol, dietro un vetro offuscato dalla pioggia dove scorre la storia del loro amore e il film che stiamo vedendo, si alternano i sentimenti declinati in colori, la complessità e l’ambivalenza di ogni storia d’amore.
Come in Lontano dal paradiso, Haynes, per raccontare le trasformazioni e le contraddizioni sociali, sceglie un’America sulla soglia del cambiamento, gli anni 50, con uno stile cinematografico capace di assorbire la lezione dei grandi film di quegli anni e restituirlo arricchito della complessità sociale ed emozionale del presente. Come se anche noi e non solo Therese, stessimo guardando attraverso un vetro a quel laboratorio così sorprendente che è la vita, da una distanza ovattata e morbida, proprio come il serico bianco e nero de Il grande sonno, ancora chiusi dentro una macchina appannata dall’acqua, ma ormai a solo un passo dal futuro.
data di pubblicazione 23/10/2015
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