Yoko è in una navicella spaziale, l’ha scelta per l’arredamento rétro, è tutta sola in quella navicella, con l’unica compagnia del computer e di un rubinetto che perde gocce. Yoko fa la postina intergalattica da un pianeta all’altro, portando oggetti comuni e di un passato arciremoto; inoltre Yoko annota su un diario maniacalmente tutto ciò che fa e che nota, comprese le gocce che perde quel rubinetto. Yoko preferirebbe che gli abitanti dei pianeti usassero il teletrasporto, invece continuano a scegliere di ricevere pacchi, per emozionarsi ancora. Al di fuori, paesaggi post atomici e qualche raro esemplare umano. Il tempo scorre sempre uguale per Yoko, scandito dalle sue consegne, dai suoi tempi, da qualche incontro, qualche inconveniente, qualche notazione ironica. Questo suo tempo sembra come la rappresentazione più vicina all’idea di infinito, ma l’angoscia non prevale, proprio per la pulizia e la normalità che traspare dai gesti e dai pensieri di Yoko.
E allora fa capolino la sensazione che il film di Sion Siono non voglia parlare tanto dello spazio e del futuro apocalittico quanto della nostra vita ieri come oggi come sempre nel suo trascorrere, atemporalmente vacuo.
data di pubblicazione 18/10/2015
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