L’ENEIDE DI KRYPTON – un nuovo canto

(Teatro Argentina – Roma, 21/23 aprile 2015)

L’Epos di un popolo è il potente crogiuolo da cui attingiamo i modelli più profondi del nostro funzionamento psichico, come le radici dell’anima che governano le prospettive attraverso cui vediamo noi stessi e il mondo: immagini mitiche a cui ritorniamo per riflettere sulla vita e sulle teorie che formuliamo su di essa.

In questo senso la riproposta di uno dei miti fondativi della nostra cultura occidentale, quale l’Eneide virgiliana, mai è sembrata così pertinente ed appropriata ai nostri tempi di disorientamento e perdita.

Storie di guerre e umane tragedie di esuli in fuga, disperati approdi sulle coste di terre della speranza, ci riportano prepotentemente alla tragicità di un presente in cui la sacralità dell’accoglienza riservata agli stranieri  non ci garantisce più la benevolenza degli dei  né  la realizzazione del loro disegni.

Lo spettacolo di Giancarlo Cauteruccio, che dopo trent’anni viene riproposto al Teatro Argentina in una versione riveduta ed asciugata, ci spiazza e ci emoziona non  solo per  queste  contingenti coincidenze sull’attualità,  ma per la forza espressiva di un linguaggio  che, scavalcando la concezione drammaturgica del racconto di parola, (punto essenziale della  ricerca  teatrale di quegli anni), affida all’immagine e alla suggestione del suono tutta la potenza evocativa di un territorio poetico fuori dal tempo.

Lo fa con grande effetto, coniugando l’arcaico con la tecnologia virtuale (allora in fase embrionale di sperimentazione) l’elaborazione del suono con il verso poetico. Questa combinazione sapientemente orchestrata contribuisce a fare, dell’esperienza teatrale in atto, un’esperienza squisitamente sensoriale e al tempo stesso profonda in quanto capace di schiudere visioni che fanno della scena il luogo del nostro immaginario più astratto al quale abbandonarsi  con il piacere di perdersi.

In linea con questa scelta di concentrazione espressiva che si fa “performance – teatrale -concerto” è l’esecuzione live dei musicisti dei Litfiba, (autori ed esecutori delle splendide musiche) e dello stesso Cauteruccio,   che portando al centro della scena il suo corpo “goffo e provato dal tempo”, fa risuonare le parole virgiliane con la potenza della sua voce.

In questo modo il timbro sporco e vibrante di suggestioni arcaiche sembra infatti squarciare le  ondeggianti acque virtuali che dal boccascena invadono la platea e ci sommergono con la forza di un rito spettacolare che, giocando sulle sovrapposizioni, sfugge alle convenzionali definizioni.

Non a caso questa emozionale immersione, in un non-racconto teatrale fatto di quadri scenici che, come frammenti riportati alla luce del tempo ci parlano senza una logica continuità, raggiunge la sua massima forza espressiva laddove la forza della parola e del suono si fanno immagine e dove l’immagine evoca reconditi spazi di significato in cui la parola non ha accesso, con esiti di astrazione assolutamente convincenti.

In questo senso appena più dissonante ci è apparsa la performance canora di Ginevra Di Marco, non certo per la qualità della sua esecuzione, ma perché una certa didascalicità del verso lirico della canzone ci riporta su piani più razionalmente accessibili e, per questo, forse meno emozionanti.

È in questa suggestiva combinazione di racconto epico e allucinazione post-moderna, in cui la tecnologia si inserisce come residui diurni nella tessitura di un sogno, che l’Eneide di Krypton ha mantenuto la forza evocativa di una rappresentazione fuori dal tempo, capace di palarci di ciò di cui abbiamo sempre bisogno, illuminandoci sul nostro domani.

Per dirla con un verso di Pound: “Rendi forti i nostri sogni  –  perché il nostro domani non perda coraggio –  a  lume spento

 

data di pubblicazione 26/04/2015


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