THE DEAD DON’T HURT di Viggo Mortensen, 2024

(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)

Nel Nevada, prima dello scoppio della guerra di secessione americana, una coppia di immigrati, in fuga da drammi personali, tenta di ricostruirsi una nuova vita. Il luogo non è un posto facile, corruzione e violenza dilagano e mettono a dura prova le nobili intenzioni dei protagonisti.

 

Il genere Western, unico e immarcescibile si confonde e vive da sempre col Cinema e probabilmente, fra alti e bassi, classici e rivisitazioni, contaminazioni e influenze, mantiene una sua continuità. Certamente non è più sorretto dal costante successo di pubblico, come dimostra il quasi-flop del bellissimo, Horizon I di Kevin Costner, ma pur nell’evoluzione (?) del gusto degli spettatori, conserva la sua vigoria e una sua ragion d’essere. Ce lo conferma, il notevole, The Dead don’t Hurt di Viggo Mortensen, attore e regista di pregevole tatto e sensibilità. Va subito chiarito come, Mortensen abbia realizzato non un western classico, come Costner, ma, pur nutrito da western di notevole levatura, abbia preferito una rappresentazione diversa, quasi minimalista, certo non tradizionale. Qualcuno ha parlato di un western femminista, ma, certo, al di là di frustre etichettature, il focus della pellicola non è centrato tanto sul protagonista maschile, Holger, coraggioso immigrato danese, quanto su Vivienne, la fioraia franco-canadese fiera e indipendente. La sua storia, il suo vissuto di donna che rifiuta un matrimonio borghese, preferendo vendere fiori, la sua dolcezza, la sua forza morale, la sua adesione a una vita apparentemente priva di certezze con un fuggiasco, in un piccolo sperduto ranch, ne fanno il personaggio principe dell’intera vicenda, Mortensen regista affida ad una superba attrice, la lussemburghese Vicky Kreps, già etichettata come nuova Meryl Streep, il ruolo di Vivienne ed è lei, solo con i suoi sguardi, ha dar vita al personaggio centrale con una formidabile interpretazione. Tornando al film si è detto di un western atipico, poche sparatorie, paesaggi suggestivi ma non “ classici”, una colonna sonora originale, anch’essa opera di Mortensen, uno sguardo romantico a un mondo destinato a “finire”. C’è comunque una storia, declinata attraverso un montaggio che contestualizza in momenti differenti l’evolversi degli avvenimenti, C’ è la guerra di secessione, la violenza e la corruzione, la vigliaccheria, tutti caratteri distintivi del genere, ma nella mano di Mortensen vengono sfumati, alleggeriti, diventando simboli quasi contemporanei. Diversamente da Costner ma anche dal subime, Gli Spietati di Eastwood lo schema di Mortensen non è quello di Ford, Hawks, Mann, meno incline alla violenza tout court o alla vendetta come fine ultimo dell’eroe, è incentrato invece sulla psicologia dei personaggi, più intimo, privilegia le tensioni emotive, si colloca all’interno del genere “crepuscolare” e con un occhio al passato allude al presente ( le guerre, le banche, il ruolo della donna). Perchè vederlo si è detto, perché potrebbe invece deludere? Naturalmente per le ragioni opposte: poca azione, pochi cavalli, inseguimenti, sparatorie. Resta alla fine del viaggio la consapevolezza di uno spettacolo che sovverte gli archetipi del genere e ne propone una nuova scrittura con al centro una donna nella sua nobile e drammatica intensità.

data di pubblicazione:20/10/2024








0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Ricerca per Autore:



Share This