(Teatro Argentina – Roma, 20 gennaio/15 febbraio 2015)
Torna sul palco del Teatro Argentina di Roma la commedia di Eduardo De Filippo Le voci di dentro diretta e interpretata da Toni Servillo, affiancato sul palco dal fratello Peppe. L’Opera scritta da Eduardo nel 1948 è incredibilmente attuale, moderna e per questo eterna. La scena iniziale vede la cameriera Maria rapita da un sogno molesto mentre dorme in cucina; la scena finale si conclude con Carlo Saporito (Peppe Servillo), fratello antipatichello e venale di Alberto Saporito (Toni Servillo), che ripiomba in un sonno profondo: dunque si conclude con l’inizio di una nuova dimensione onirica (o forse la fine?), sotto il perplesso ed in parte rassegnato sguardo di Alberto che non comprende se il sogno è appena terminato o sta per iniziare. Nel cerchio perfettamente ideato da Eduardo, il Sogno è la chiave di lettura dell’eterno dramma dell’incomunicabilità dell’uomo, prima con sè stesso e poi con gli altri. Incomunicabilità che sfocia nell’incessante conflitto tra illusione e realtà, fra forma e sostanza: temi già cari a Pirandello, che ne era stato sapiente precursore e che vibrano lungo l’intera rappresentazione oggi rivisitata da Toni Servillo. Il Sogno come dimensione in cui l’uomo rifugge per scoprire, svelare e dare voce a meri sospetti, alle paure e a tutti quei sentimenti che nella realtà quotidiana, come un groviglio di rovi spinosi, non riesce ad esternare ed accettare neppure con se stesso. Alberto Saporito, come un funambolo sul precario, sottile filo che separa il sogno dal mondo reale, non riesce a riconoscere cosa è veramente accaduto e cosa ha “soltanto” sognato ripetendo, inevitabilmente, un concetto chiave che richiama alla memoria il titolo di una commedia di Luigi Pirandello: Sogno, ma forse no. Solo nel Sogno le cattiverie, le maldicenze, i timori, l’assenza di fiducia nel prossimo, persino nei propri familiari, trovano il coraggio di emergere ed essere palesati; solo nel Sogno l’uomo dismette la maschera e si palesa con le proprie debolezze e fragilità. La trovata scenica di un palco che si inclina verso gli spettatori e si affaccia verso di esso, come le voci di dentro che ognuno ha nel suo profondo, producono l’effetto di una realtà/sogno parallela al reale e così il Sogno diventa la realtà dove prendono rifugio i vari personaggi. L’assoluta attualità di questa commedia scritta nell’immediato dopoguerra è rappresentata anche dal concetto della staffetta tra vecchie e nuove generazioni – il vecchio che deve lasciare il posto al nuovo – e il dramma delle macerie, delle difficoltà che gli anziani hanno creato e lasciato in eredità ai giovani. E forse proprio la vergogna, il senso di colpa latente nell’animo dei “grandi”, per non aver tutelato i loro figli e aver lasciato loro un mondo peggiore, da un lato, e il risentimento e lo sdegno per le macerie ereditate che diviene rabbia, malcontento perenne dei più giovani dall’altro, sfociano inevitabilmente nel Sogno per trovarvi “voce” e reciproca comprensione. Non c’è un finale, una soluzione al presunto assassinio sognato da Alberto Saporito, non c’è una rivelazione chiarificatrice delle effettive o irreali malefatte della famiglia Cimmaruta, né tantomeno di cosa è stato sognato e cosa è realmente accaduto. Quel che è certo è che non esiste una soluzione e, in generale, non esiste una sola verità. Nessuno è puro, nessuno è colpevole, perché ognuno di noi porta dentro di sé l’eterno conflitto tra bene e male, ognuno di noi, anche il più insospettabile, è alla ricerca della giustizia e può ritrovarsi improvvisamente vittima del vizio e dell’arida cupidigia; ognuno di noi può sospettare del fratello, del marito, della madre, della sorella. Quel che è certo, è che tutti questi sentimenti negativi, i pensieri malsani e corrotti verranno resi noti solo nel Sogno. E qualora nel Reale si compia l’avventata incosciente azione di comunicare al prossimo un proprio sospetto, una paura, una cattiveria, ognuno di noi si riprenderà da simile “debolezza” dichiarando immediatamente ah ma io non ti ho detto niente eh? oppure sia chiaro non dire che te l’ho detto io.
Toni Servillo si conferma il mattatore del teatro italiano e l’opera è ben rappresentata dall’intera compagnia di attori. Da vedere!
data di pubblicazione 22/01/2015
Il nostro voto:
0 commenti