(Teatro Argentina – Roma, 10/15 gennaio 2023)
Un grande affresco corale che non tradisce La Capria ma lo adatta con coraggiose soluzioni sceniche. E chissà che Andò non pensi anche a trarne un film dopo questo fortunata interpretazione, ricambiata da un costante tutto esaurito di un pubblico plaudente.
Un capolavoro epocale del 1961 (Premio Strega) che presentava non trascurabili problemi di messa inscena per un racconto spezzato, asincrono. Si tratta di restituire un mood e un’atmosfera e dunque azzardare una scommessa. Si propone felicemente il clima di amicizia di una generazione di benestanti napoletani, immersi nel liquido amniotico dell’acqua, terreno delle loro scorribande (anche amorose), della vita di circolo, dei debiti di gioco, del chiacchiericcio, di una Napoli fortemente annusata, insieme amata e detestata. Napoli ti ferisce a morte dicono in coro molti dei protagonisti. Il raccordo funzionale avviene nella seconda parte quando tutti interagiscono in un’idea tavola imbandita ma ognuno seduto a debita distanza dall’altro. Il tempo passa. C’è chi si trasferisce a Milano, chi a Roma, i legami si allentano a denotare lo scorrere del tempo. Dal dopoguerra all’atmosfera degli anni ’50, i prodromi del boom. Arco temporale di undici anni. E non è la più stessa cosa. Il fervore declina in malinconia, la nostalgia per qualcosa che si è perso. Uno splendido lavoro corale per 16 attori con grande uso di scenografie mirate e brillanti, a tratti luccicanti. Polifonie di storie, incastri, di una Napoli borghese immersa in un grande affresco collettivo. Un fondale per una Napoli libera ma insieme oppressiva che va verso un progressivo disfacimento e verso una totale perdita di valori. Con il soggetto femminile spesso ridotto a comparsa. Ma un Titanic senza drammi che sbatte contro l’iceberg metaforico mentre l’orchestrina di bordo continua a suonare.
data di pubblicazione:12/01/2023
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