(Teatro Argentina – Roma,18/30 ottobre 2022)
Pupo di zucchero. La festa dei morti, opera firmata da Emma Dante e liberamente ispirata al celeberrimo Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile, regala emozioni interiori e purissime. Ricordi d’infanzia che si mescolano a storie familiari nel giorno di celebrazione dei morti, atmosfera sospesa che non ha nulla di pauroso o spaventoso, ma anzi diffonde un dolore che sa di nostalgia e ricordi. In una stanza abitata dalla solitudine di un anziano, le immagini di una vita prendono corpo e fiato, in un vortice di storie sovrapposte e traslate che culminano nello spettrale e suggestivo trapasso finale (foto di Ivan Nocera).
In una casa vuota e buia un Vecchio (uno sconvolgente Carmine Maringola) è impegnatissimo nella cura di un impasto: “l’esca pe li pesci de lo cielo”, che non tarderà ad attirare dall’aldilà le sorelle Rosa (Nancy Trabona), Viola (Maria Sgro) e Primula (Federica Greco) e dal buio della solitudine si passa al tintinnio ritmico e squillante dei campanelli. Piano piano la casa si popola. È poi la volta dell’esuberante Pedro (Sandro Maria Campagna), spasimante di Viola, del papà scomparso in mare (Giuseppe Lino), della mamma malata (Stephanie Taillandier), di Pasqualino (Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout), della zia Rita (Martina Caracappa) unita allo zio Antonio (Valter Sarzi Sartori) in un legame di desiderio e violenza. Racconti di famiglia asciutti, sovrapposti, sfocati ma intensissimi, mai banali. Il tempo dell’azione è il giorno dei morti, un tempo preciso eppure sospeso.
Carmine Maringola racconta dei propri cari defunti e ci presenta la sua famiglia che fu, è intento a preparare un pupo di zucchero, un impasto di forma antropomorfa da offrire ai defunti stessi.
Il lavoro di Emma Dante è ben connotato per il suo stile eclettico e originale, che pesca nella tradizione per esternare nuove ricerche estetiche e artistiche di presenza e movimento.
I quadri dei ricordi appaiono e scompaiono, si susseguono, la trama si sfuma, ogni scena si riempie di immagini iconiche, talvolta poetiche, talvolta allegre, alcune potenti altre solo accennate. Sulle teste piovono frammenti di coriandoli lanciati dalla tasca, insieme a zuccheri e farine leggeri e sospesi nell’aria.
Le suggestioni di danza, insieme a quelle del canto, sono i momenti in cui il fervore della vita prende il sopravvento. Ma tutto ciò che accade è sempre e solo nella mente del vecchio, è un flusso di frammenti che si affollano, si accavallano e, scompaiono. È un dolore privato suo e dei suoi morti.
Carmine Maringola popola la solitudine e il buio della sua casa ricostruendo frammenti di vita passata, dove tutta la sua famiglia ridiventa carne e materia. Una matassa di pasta lievitata e zuccherata, dunque, diventa il legame tra la vita e la morte. l vecchio protagonista la lavora, a morsi ne strappa pezzi coinvolgendo famiglia e ricordi in un rituale selvaggio e potente. Legato a loro, come da un cordone ombelicale, il vecchio gioca con una catena a un tiro alla fune.
Ma la vita è anche morte: le straordinarie sculture di Cesare Inzerillo appaiono e si muovono in scena per ricordare l’essenza della materialità e della spiritualità, in una sorta di penombra da cimitero dove brillano solo le fiammelle dei lumini i cadaveri mummificati della famiglia diventano corpi morti, solidificati. Sono sculture realistiche, a grandezza naturale, trasfigurazione del dolore e del trapasso.
Uno spettacolo ancora una volta spiazzante ma non addolorato, un bellissimo specchio che ripercorre e riflette le vite e gli affetti di ognuno di noi.
data di pubblicazione:29/10/2022
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