MACBETH, LE COSE NASCOSTE – regia di Carmelo Rifici

14 Giu 2021 | Accredito Teatro

(Teatro Argentina-Roma, 5/13 giugno 2021)

Il regista Carmelo Rifici, dopo il lavoro su Ifigenia, presentato nel 2017, prosegue la sua esplorazione dei classici con lo spettacolo Macbeth, le cose nascoste in scena al Teatro Argentina di Roma dal 5 al 13 giugno, scritto a quattro mani con Angela Dematté.

 

 Uno spettacolo complesso che rilegge per frammenti il dramma ed i catastrofici effetti fisici e psicologici della ricerca del potere per il proprio interesse personale, lavorando sull’inconscio e sulla sua capacità di generare errori ed orrori. Lo spettacolo è anche uno studio in chiave psicanalitica ed una riflessione sulla violenza che, partendo dai temi della tragedia shakespeariana, compie un viaggio attraverso le esperienze personali degli attori coinvolti nello spettacolo. Parte integrante del progetto sono state le sedute di analisi, guidate dallo psicoanalista junghiano Giuseppe Lombardi e dalla psicoterapeuta Luciana Vigato rappresentate in scena con l’ausilio di videoproiezioni e soprattutto attraverso la presenza sul palco, in alternanza, di Rifici, Dematté e della drammaturga Simona Gonella.

Il palco si sovrappone a quello di uno studio medico nel quale gli attori riportano le proprie elaborazioni del processo psicanalitico e rappresentano nel contempo il dramma, secondo differenti sfaccettature e punti di vista. Nel gioco delle sovrapposizioni e scambio di ruoli, emerge l’originalità della rappresentazione e la necessità di dar voce a ciascun personaggio affinchè possa raccontare la propria verità.

Il risultato è un progetto articolato in tre parti, in cui “la prima parte consiste in un’analisi degli attori coinvolti nello spettacolo”, racconta Rifici. “Dai loro lati nascosti si passa alla seconda fase, quella del lavoro sui personaggi: Macbeth vuole scoprire che cosa c’è oltre le cose conosciute, vuole distruggere il senso delle cose. La terza sezione è invece legata al mondo infero delle streghe, di Ecate, il mare nero nel quale nuota inconsapevolmente la collettività, la comunità degli uomini”.

Attraverso la chiave psicanalitica, il regista, seppur in modo diverso, pone a sé stesso e agli spettatori delle domande in relazione a quali possano essere i meccanismi che inducono alla sopraffazione, analizzando le ragioni che portano il re scozzese a trasformarsi in Divinità e, spinto anche dalla sua ambiziosa e feroce consorte, ad uccidere tutti quelli che si oppongono alle proprie mire. Ad introdurci nelle atmosfere è subito il monologo dell’attrice Maria Pilar Pérez Aspa, che approfondisce i motivi per cui Macbeth uccide le guardie che dovevano vegliare su re Duncan. Egli lo fa, ovviamente, per far cadere la colpa su di loro ma, ad alta voce, proclama che ha dovuto ucciderli perché si sentiva sopraffatto dal dolore e dalla rabbia per la morte violenta del suo re, che amava come un padre; dunque, la sua versione ancora una volta rende giustificabile la violenza.

Così le tematiche dell’ambizione, dell’adulto bambino che non teme le conseguenze dei propri atti, del legame con la sua terra, della seduzione femminile manipolatrice e del rapporto con il padre si riverberano dal privato di ognuno alla scena, nella quale i fatti della tragedia vengono rappresentati dagli stessi interpreti che si scambiano a turno le parti, immersi nell’acqua che scorre sul palcoscenico e nel video proiettato, simbolo inequivocabile dell’inconscio.

E alla fine, le parole di Lady Macbeth “chi poteva immaginare che il corpo del vecchio contenesse tanto sangue!”, riferite all’assassinio di re Duncan si fondono con il ricordo tanto impresso nella memoria di Tindaro Granata, di quando bambino, in Sicilia, assisteva all’uccisione del maiale, appeso a testa in giù, perché potesse uscire tutto il sangue, in modo che la carne non restasse amara.

Come un maiale verrà appeso, per i piedi, il cadavere nudo del figlio di Macduff, interpretato dal giovane Alessandro Bandini, coperto subito dopo dalle Streghe di vernice d’oro e trasformato in Ecate, la dea lunare, levatrice e accompagnatrice dei morti, che chiude lo spettacolo con un monologo sulla terra, sulla vita del verme farfalla, per ribadire che ogni cosa nel mondo non muore mai, ma si rigenera sempre.

Macbeth, le cose nascoste è certamente uno spettacolo di impatto che si presenta in modo originale nel solco di un teatro che richiama il rito, rivisitando il passato come fonte di conoscenza per la comprensione del presente e del nostro io più profondo.

C’è, naturalmente, da una parte la storia, quella del giovane che aspira al trono, una trama di violenza, dolore e morte, ma c’è anche la rivisitazione del proprio inconscio attraverso un processo fatto di scambi di idee ed esperienze basato sulla reale emotività degli attori e su quanto il Macbeth ha suscitato in loro. Un ponte tra passato e presente, tra mito e terra, per un ritorno alle radici alle quali continuiamo ad essere, inconsciamente, legati.

Apprezzabile il lavoro degli attori e lo sforzo di costruzione di una performance innovativa a fronte però di una struttura narrativa che rimane slegata, senza garantire la necessaria fluidità e la visione d’insieme, portando in secondo piano l’essenza del dramma.

data di pubblicazione:14/06/2021


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