Il palese riferimento è al mondo dello spettacolo: fermo anzi immobile. Però meglio dal vivo che dal morto, cioè in streaming, con una finzione di immedesimazione in assenza di pubblico. Paolo Rossi, comico ammaccato di mille vizi, ex alcolista non anonimo, si rivolge a un colloquio immaginario con William Shakespeare per riflettere sulla strana situazione umana del fermo biologico in periodi di pandemia. Esperienze di una vita e di una creatività non soffocata ora che alcuni dei migliori amici (Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Felice Andreasi) non ci sono più. Sono irresistibili le pagine di descrizione del nascente cabaret milanese del derby, posto di gestazione ma anche locale equivoco che per mantenersi in vita obbediva a un’etica tutta sua, borderline rispetto alla legge, al consumo di droga e di ulteriori infrazioni legali. Da perfetta stand up comedy l’invocazione a Berlinguer che dall’oltretomba gli si affaccia in sogno per chiedergli che fine ha fatto il Pci. Un sogno all’incontrario nelle risposte che Paolo Rossi gli fornisce descrivendo un quadro idilliaco che è l’esatto stravolgimento della realtà attuale. Graffiante, malinconico, lisergico, Rossi ha sprazzi sulfurei che sono il giusto antidoto alla banalità del reale. Dal gin tonic in quantità siderale alle riflessioni argute sulla sparizione delle Feste dell’Unità, la descrizione di un mondo di sinistra evaporato nelle brume del capitalismo, del teatro come merce, del posto fisso degli Stabili. Comicità da alto e basso, biografica e non di un guitto che molto ha dato anche alla televisione vivendo in contraltare satirico gli anni d’oro di Berlusconi, bersaglio ormai non più attivo e valido. C’è molta vita, dalla nascita alla vecchia nel segno di una parabola che non vuole finire e si riproduce anche con il tramite della mimesi letteraria. Si può scrivere infine che Paolo Rossi è vivo e satireggia insieme a noi.
data di pubblicazione:24/04/2021
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