Una grande ricchezza di proposte, un’enorme povertà di idee. La commedia all’italiana, riveduta e corretta nel nuovo millennio sembra una pallidissima e banale imitazione di quella che fu l’epopea dei Monicelli, Comencini, Risi e del sottovalutato Salce. Sembra aver preso la piega del tanto criticato cinema dei fratelli Vanzina. E ora che Carlo Vanzina non c’è più gli epigoni si sprecano. Finirà che i Vanzina si fregeranno dell’epiteto di “maestri”. Del resto non abbiamo grandemente rivalutato Totò e persino Franco Franchi e Ciccio Ingrassia? In questa rivisitazione estetica che considera persino Ultimo tango a Zagarolo non troppo inferiore all’originale, persino geniale di suo. Dobbiamo persino difendere Enrico Vanzina, massacrato per avere fatto uscire un film nel settembre del 2020 (Lockdown all’italiana) incurante dei 36.000 morti italiani. La commedia italiana dei Sordi e dei Gasmmann non ha forse attinto a episodi di cronaca ancora più acri, tipo la seconda guerra mondiale?
Così dovremmo berci la favola della riappacificazione tra Christian De Sica e Massimo Boldi e la quieta accettazione della filosofia di Vacanze di Natale? Il tema stra-gettonato delle “vacanze” sembra qualcosa che si addice perfettamente all’indole italiana. Le vacanze di Pasqua? Durano al massimo due giorni reali: due giorni però combinabili con un week end e dunque si allargano a una settimana. Quelle di Natale? Paralisi assoluta e per un vasto arco di tempo. Scriviamo dal 20 dicembre al 10 gennaio dell’anno successivo stasi completa delle attività produttive. E le vacanze, per tornare al tema di partenza, sono il ricettacolo repertoriale del cinema. Basta inventarsi un Paese molto diverso dal nostro, che so io il Brasile o Cuba per far sfoggio di provincialismo esotico dove l’italianuzzo dovrebbe essere mostrato per quello che è, cioè mostrato nella sua meschinità. Il Paese chiude per ferie ad agosto e si gode le sue feste e il cinema va appresso a questa eterna vacanza, anche del necessario collegamento neuronale. Le sceneggiature vivono su idee che ormai tendono allo stanco stereotipo, a misura di attori che, forse, sono troppo allettati da un guadagno rapido e sicuro. Senza una sceneggiatura sufficientemente strutturata è difficile “aggiustare” un film, anche se puoi contare su nomi e cognomi come quelli di Alessandro Gassmann, Gianmarco Tognazzi e Marco Giallini. Nonostante critiche infauste, però, Non ci resta che il crimine ha avuto anche un sequel e con lo stesso cast, forse spinti dalla forza dei 4,7 milioni riscossi al box office al primo tentativo.
Il cinema americano beninteso ha altri difetti, ma può appagarti per il budget, la spettacolarità, le musiche, gli ingredienti di una grande industria che può spendere e che prescinde da quel ristretto manipoli di sceneggiatori (sempre gli stessi) al servizio del botteghino. Non stiamo parlando di arte, ma già un efficiente artigiano sarebbe gradito.
Prendiamo Tiramisù con Fabio De Luigi uno e trino, nel ruolo di attore protagonista, regista e sceneggiatore. Il plot, come suggerito dal titolo, ruota attorno al tiramisù: un film con questa trama potrebbe bellamente trasmigrare in uno dei tanti programmi gastronomici dell’ex Belpaese. In Dieci giorni senza mamma lo stesso De Luigi è costretto a fare il papà a pieno tempo perché la moglie (bontà sua) ha improvvisamente deciso di concedersi una vacanza a Cuba con la sorella. Due ore di film per un’idea povera. Il Corriere della Sera commenta nella mini recensione: “Un film che gira a vuoto col pilota automatico inseguendo un copioncino smilzo, prevedibile, da sbadiglio”. Il bello è che la sceneggiatura non è neanche originale perché mutuata da un film argentino. Dunque si può essere banali anche copiando. A tre settimane dall’uscita Dieci giorni senza mamma va in testa al box office con un incasso parziale di 6,2 milioni e si prende un pezzo della fetta dei successi del Di Luigi che in 14 anni ha fatto incassare ai produttori 200 milioni di euro.
Claudio Bisio in due pellicole successive viene costretto a indossare i panni del Presidente della Repubblica prima e del Presidente del Consiglio dopo, mutuando una realtà che è molto più farsesca della pellicola stessa visto che le scialbe imitazioni di Mattarella, Salvini e Di Maio non valgono certo gli originali. In Benvenuto presidente è vano lo sforzo di vivacizzare l’assurdo sviluppo della story con un montaggio demenziale e con musiche esasperate. Peccato che si prestino all’accozzaglia Massimo Popolizio e Antonio Petrocelli, stimati attori di teatro che probabilmente per una piccola parte guadagnano come in sei mesi in giro per i palcoscenici italiani. Pensavamo comunque che i vertici di banalità delle sceneggiature a misura di De Luigi fossero inarrivabili, ed invece ci colpisce ancora di più la sinossi narrativa de La scuola più bella del mondo con Christian De Sica e Rocco Papaleo (il regista non vale neanche la pena di citarlo). “Il preside di una scuola media toscana pensa di invitare una classe del Ghana per uno scambio culturale; ma il bidello confonde la città di Accra con Acerra e così invita gli alunni di una disastrata scuola media campana con il loro bizzarro insegnante”: questo banale spunto diventa il pretesto per un film di 90 minuti. Una replica del “fatale errore” si ritrova in Sotto mentite spoglie dove già il titolo è un elogio del trash rispetto a una sinossi del plot che suona così: “Tommaso (Vincenzo Salemme) è un quarantenne napoletano felicemente sposato con Chicca (Lucrezia Lante della Rovere). Un giorno decide di mandarle un focoso sms che, per errore, arriva a Chiara (Luisa Ranieri), la moglie del suo migliore amico (Giorgio Panariello) che gli si butta tra le braccia”. Così una gag di cinque minuti da giocarsi in televisione tramuta in pellicola.
Il cinema italiano in quanto a mancanza di fantasia con uso e abuso dei format fa pari con la televisione. Il programma di Maurizio Crozza fa certamente ridere. Però quando leggi nei titoli di coda che le sue battute sono frutto del lavoro di sette autori (vale lo stesso per Fazio) l’ammirazione si auto-ridimensiona in un giudizio più sfumato e critico. Una battuta per uno degli autori per costruire una gag? Purtroppo anche attori di gran peso cadono nella tagliola di sceneggiature insipide. Leggete la sinossi di Moglie e marito, film in cui Pierfrancesco Favino: “Un neurochirurgo e una conduttrice televisiva sono sposati da dieci anni ma il loro matrimonio è in piena crisi e i due pensano di divorziare. Un giorno, in seguito a un esperimento scientifico, si ritrovano improvvisamente l’uno nel corpo dell’altro”. Sceneggiatura? Plot per una barzelletta piuttosto, al di là di ogni credibilità scientifica, estetica e narrativa. Persino la stimata Paola Cortellesi si erge a protagonista principale di Ma cosa ci dice il cervello firmato dal marito Riccardo Milani (“Matrimonio, ah quanti peccati cinematografici nel tuo nome”), che certo non è all’altezza della sue prove più riuscite. “L’attrice ha il ruolo di una grigia impiegata ministeriale che nasconde una doppia vita: è una superspia che attiva i propri poteri per vendicare le vittime di bulli, cafoni, prepotenti, interpretati da Stefano Fresi, Claudia Pandolfi, Paola Minaccioni, Remo Girone, Lucia Mascino, Vinicio Marchioni”. Un argomento banale, con la Cortellesi nelle vesti di angelo vendicatore senza essere L’Angelo vendicatore di Bunuel. Anche qui siamo lontani da una sceneggiatura degna di questo nome, attivando un cinema di serie B senza dignità, non scrivo di arte ma neanche di sufficiente artigianato. Povero quel cinema in cui il regista cerca di valorizzare la moglie (la compagna) dandole un ruolo a metà da 007 a metà tra Sean Connery e Lando Buzzanca. Qui la Cortellesi in effetti non è né carne né pesce. Non fa ridere e non emoziona, a metà strada tra trama e farsa in un crescendo di azioni improbabili. Come un gatto in tangenziale appare un gigante da Oscar rispetto a quest’ultima prova.
Un altro esempio di questa degenerata e residuale commedia all’italiana è I compromessi sposi, sequela di luoghi comuni e di stereotipate antinomie (nord-sud, destra-sinistra, proletariato-borghesia) scritta da Miccichè e contando sull’appeal dei due interpreti Salemme e Abatantuono. Tra cui, attorialmente, non c’è alcuna empatia. Eravamo già ben cosci del “buttarsi via” commercialmente di Salemme, speravamo invano in un guizzo d’orgoglio di Abatantuono, addirittura più vero quando interpretava il “terrunciello”.
Quanto a copiature di gag e batture, uno degli esempi più evidenti è offerto, ancora una volta, dalla televisione. Selvaggia Lucarelli ha mostrato con riferimenti e puntute pezze d’appoggio che praticamente tutti gli sketch imbastiti da Bisio-Raffaele-Baglioni in Sanremo 2019 sono stati ripresi da gag preesistenti, saccheggiando persino mister Bean e la satira americana. Qui- credo- che la Siae sia impotente. Eppure si tratta di Sanremo. Parliamo del più importante investimento della Rai nel corso di un anno. Parliamo di una Rai che ha sul groppone 24.000 dipendenti per una spesa via aziendale che sfiora il miliardo. No, non è la BBC, in quanto a qualità. I De Luigi e i Volo sono fenomeni di moda perché con i tanti (troppi) comici in circolazione l’arte del riciclo, aggiustando una battuta o i suoi tempi è un ricalco abituale, tanto che alla fine non sai più se la battuta originale sia di Brignano, Battista, Perroni, Giusti, Giuliani. Alla fine per saturazione non vedremo più neanche i film con Giallini e Gassmann. Se il primo per la regia del semisconosciuto Simone Spada si cimenta in Domani è un altro giorno, remake senza idee e guizzi di un fortunato film argentino. E se il secondo viene invalvolato in una relazione omosessuale con Fabrizio Bentivoglio nel solito scipito contrasto acculturato-ignorante. Derive che fanno persino rimpiangere i film delle Archibugi e delle Comencini o Ferie D’Agosto di Virzì. C’è però il lieto fine. Come tutte le coppie borghesi gli omosessuali impersonati da Gassmann e Bentivoglio si sposano e si baciano persino in bocca. Questo è l’edificante ed il politicamente corretto dei nostri tempi.
data di pubblicazione:14/10/2020
Invece di rimirare con sussiegosa, snobistica ed altezzosa noia il proprio ombelico, a conferma di quel che scrive Accreditati leggiamo un po’ di numeri ufficiali sul cinema italiano, fonte Cinetel:
-Nel 2018 sono stati prodotti 531 film con una quota di mercato del 23%;
-Nel 2019 sono stati prodotti 495 film con una quota di mercato del 21,2%.
I dati dell’anno scorso, gli ultimi di un “mondo normale”, e che è pur stato un anno positivo in termini di incremento presenze ed incassi (97 milioni di spettatori e 635 milioni di incassi) dicono però che c’è una crescente difficoltà per i prodotti italiani.
Avere infatti solo il 21,2% del proprio mercato ( per fare un esempio, in pari periodo, la Germania ha il 32% del proprio mercato e la Francia ben il 38%) e per di più in progressiva decrescita annua è un indice di disaffezione per una cinematografia che ha storia ed ambizioni. Se i 495 titoli nazionali ci dicono che la loro quantità è ancora un indice di vitalità e progettualità per nulla scontata, la quota di mercato in diminuzione ci dice e ci conferma invece che, pur aumentando il numero di chi va al cinema, l’accoglienza presso il pubblico (fatti salvi film “mangia incassi”) dei film italiani è modesta perché la loro qualità tende a diminuire ed è percepita come tale.
La gente va di più al cinema ma vede meno film italiani. Perché? Il perché ce lo ha spiegato Accreditati.
Poto ha colto nel segno.Complimenti ad Accreditati che ha avuto il coraggio di pubblicarlo. Una voce fuori dal coro
Se è vero che secondo la legge dei grandi numeri prima o poi qualsiasi scimmia ammaestrata o cervello elettronico riesce a mettere in sequenza delle parole, dei versi degni di figurare fra i capolavori dell’Umanità è altrettanto vero che, prima o poi, come è già stato, apparirà nel piatto orizzonte anche un “capolavoro” una “perla” della cinematografia Guatemalteca od Estone in grado di parlare a tutti ed essere apprezzata da tutti ed allora tutti grideremo per un po’ eccitati all’opera d’arte per poi tornare a lasciarci macerare dalla noia. Ma questo è solo “cerchiobottismo” elitario, supponente, improduttivo e deleterio. Bene ha fatto Poto ha denunciare la pochezza della nostra cinematografia “media”. E’ questa la realtà che ci interessa, la realtà media del cinema italiano, non quel che farà il grande Autore o quel che potranno mai fare o hanno fatto eccezionalmente in Guatemala, in Estonia o anche in Mali. E’ la qualità media dei prodotti cinematografici italiani che è stata evidenziata da Accreditati, una realtà in cui da anni non c’è più nemmeno l’ombra di una “perlina”, nemmeno coltivata. Ci sarà pure un motivo no? Poto lo ha indicato a chiare lettere e senza ambiguità pseudo intellettualoidi.
Evidentemente questo commento non è riservato al cinema d’autore. Un lungo elenco a cui appartengono Garrone, Sorrentino, Moretti, Luchetti, Mazzacurati, Tavarelli ed altri.
Da estremista moderato non posso che apprezzare le polemiche e i toni usati nei precedenti interventi, ricordando che ogni cinematografia in rare occasioni ha offerto capolavori ( persino il Libano e il Mali), dunque, non mi meraviglio se anche l’asfittico panorama italico di tanto in tanto offra qualche perlina. Il confronto poi andrebbe esteso a tutti i film prodotti , per esempio, negli USA o in Francia…temo allora che i giudizi cambierebbero e di molto, anche laggiù, infatti, la media è alquanto scarsa, riflettendo “o tempora o mores” il più generale disinteresse del mondo per i prodotti di qualità. Tutto il resto è …noia!
“…Cantami o Diva del Pelide Daniele l’ira funesta che infiniti addusse lutti al Cinema Italiano, e molte anzi tempo all’orco, generose travolse alme di Sceneggiatori…”
Il bravo Daniele Poto, in un improvviso autunnale lampo di luce, ha squarciato le tenebre, in una sorta di “Sturm und Drang”( “Impeto e Passione” per i pochissimi che non usano ancora quotidianamente il tedesco…) che fa tanto romantico, ingenuo, entusiastico neofitismo giovanile, anche se tale egli non è né culturalmente né anagraficamente…
ha scoperto… o meglio… fa scoprire al popolo tutto che “Il Re è nudo!!!”, e, come nella fiaba di Andersen, adesso un coro unanime di cortigiani e cittadini che, per abitudine, piaggeria o mancanza di alternative lodava l’eleganza e la magnificenza del Re e degli eredi di Fellini, Monicelli, Germi, De Sica, Visconti, Rossellini…(sempre e solo loro) davanti al grido, agli occhi “innocenti del fanciullo” dovrebbe scoprire che, in realtà, tutto è un inconfessabile autoinganno collettivo.
L’incantesimo è rotto, la finzione è svelata, la realtà è in tutta la sua crudezza davanti agli occhi del popolo tutto!! E ora??
Ebbene caro Daniele, ora… benvenuto Daniele fra noi che dicevamo, scrivevamo e ripetevamo sommessamente da anni che il Cinema Italiano è privo di storie, di idee, di mezzi ed anche di attori a tutto tondo nonché di un mercato che non sia quello nazionale se non anche solo regionale! Sommessamente perché accusati, dalle solite “anime belle”, di esterofilia quando si faceva e si fa il confronto con le altre cinematografie (non necessariamente quella potentissima e ricchissima americana) in grado di portare sugli schermi storie, drammi e commedie con uno spessore ed uno sviluppo ed attori capaci di andare oltre lo sketch, la guitteria o la caratterizzazione. Storie con contenuti e dialoghi e valori universali. Ma, si sa, non si può essere sempre né Molière né Shakespeare… se… poi oltre ad essere figli di Dante, Petrarca, Leonardo, Michelangelo (come si cita sempre…) si è anche figli o parenti stretti dei guitti e dei picari della Commedia dell’Arte e… soprattutto delle maschere serve di più padroni.
BENVENUTO FRA NOI che l’avevamo detto e sostenuto (ben amara soddisfazione)… ma… ahinoi… le sale ( quando si riempivano) si riempivano andando a vedere i cinepanettoni e le folle e le famiglie intere ridevano per le battute e situazioni pecorecce di Boldi, De sica and company, mica si riempivano per i film di qualità!
La legge del botteghino è un pessima legge, si sa , e lo Stato dovrebbe allora finanziare la qualità, ma tra i cattivi esempi di film da te citati ( e che io confesso per dipendenza/masochismo ho visto a casa su dvd a noleggio) diversi sono anche finanziati con soldi pubblici!! … I “nodi da sciogliere” sono tanti!!! Tantissimi!
Dove erano allora le “anime belle”? quante erano le voci critiche?? Pochissime! Dove sono oggi “le anime belle”??? … “quaesivi et non inveni”!
Questa tua “agnizione” caro Daniele, questo tuo bell’articolo dovrebbe essere pubblicato su media di maggior diffusione e circolare fuori dal ristretto (e nemmeno concorde)numero di cinefili… ma, come già so, nessuno avrà il coraggio di pubblicarlo perché, caro Daniele, in certi paesi delle fiabe (o… delle farse) non si parla mai male del Re! Nemmeno quando è nudo!!
Con stima, affetto e simpatia. Antonio
Però nel cinema italiano c’è anche altro. Basti pensare ai riconoscimenti continui dalla Berlinale ed in misura ridotta da Cannes. Guardiamo ogni tanto al positivo, in un paese che, per quanto disastrato, rimane ed è universalmente riconosciuto come il Belpaese. Ci sarà un motivo no?